I FOOD DESERT delle citta’ americane

Stamani, al telegiornale locale, una delle notizie riguardava un Supermercato su ruote che per due ore oggi pomeriggio si fermerà ad un incrocio in un quartiere di Milwaukee e permetterà a chi ci abita di comprare frutta e verdura fresche.

Una piccola notizia che sarebbe potuta passare inosservata, se non fosse che scoperchia il vaso di Pandora, o come si dice in inglese: “It opens a can of worms”.

Quasi il 10 % della popolazione di Milwaukee vive infatti in un FOOD DESERT, cioè in una zona a basso reddito procapite dove non ci sono supermercati, dove gli unici negozi in cui comprare qualcosa di commestibile,  vendono solo cibi preconfezionati e a lunga conservazione.

In compenso in quelle stesse zone si nota una proliferazione incontrollata di Fast food.

Sono stati fatti parecchi studi sulla diretta correlazione tra salute e possibilità di acquistare cibi freschi e viceversa.

Uno studio condotto su residenti in California ha evidenziato come l’accesso a scelte alimentari sane influisse sui tassi di obesità e diabete. Lo studio ha mostrato che i residenti nei deserti alimentari con meno scelte di prodotti freschi e più accesso ai fast food erano a maggior rischio sia di obesità che di diabete.

A Milwaukee i deserti alimentari corrispondono ai quartieri a maggioranza nera, e quando una persona abita in un deserto alimentare, non solo non ha accesso comodo ad un supermercato, ma vive in una zona segregata a tal punto da un avere neanche accesso a mutui per comprarsi la casa, o a lavori che gli permettano di acquistare un’auto e poter uscire da questo circolo vizioso.

La scorsa primavera ho insegnato un corso interessantissimo, che mi ha segnata profondamente e mi ha fatto capire tante cose importantissime anche con l’aiuto dei miei studenti.

Il corso si intitola Food Studies, Studi Alimentari  e si occupa proprio di dare una educazione ai ragazzi per fargli capire cosa mangiano ed indirizzarli a scelte alimentari più consapevoli e sane, partendo dallo studio della situazione alimentare negli Stati Uniti.

A mio parere questo corso dovrebbe essere obbligatorio, specialmente in un paese come gli Stati Uniti dove non esiste più una cultura del cibo, ma soprattutto dove negli ultimi 40 anni, ci si è sempre di più allontanati dalla cucina, dove la maggior parte dei cibi è frutto di esperimenti chimici  e dove per mangiare sano bisogna essere “benestanti” perchè un chilo di mele costa come un pasto di Mc. Donald.

Non posso riassumere qui quello che è stato un corso lungo un semestre. Mi limito solo a darvi qualche idea, qualche spunto su cui riflettere.

  • Un “corner store”, termine con cui si definiscono  i negozi, di solito agli angoli che sono gli unici presenti anche nei “food desert” , vendono cibi a lunga, lunghissima conservazione. Chi gestisce questi negozi non può permettersi di vendere cibi che vadano  a male dopo qualche giorno. Se vendono del pane sarà uno di quei pani la cui lista di ingredienti è più lunga della busta in cui è contenuto, quelli che rimagono mangiabili per mesi, pieni di conservanti e di sostanze dai nomi impronunciabili. Di solito in questi pani la fanno da padrone zuccheri raffinati e l’onnipresente “corn syrup” , sciroppo di mais, il cui abuso nei cibi americani ha portato ad un aumento vertiginoso di obesità e diabete, già nei bambini.
  • Le persone che vivono nei food desert spendono meno e si riempiono di più la pancia se vivono di fast food, cioè di cibi fritti di dubbia origine.  Mangiano carni, specialmente pollo, di animali gonfiati da mangimi in cui la fanno da padroni gli antibiotici, usati per contrastare le malattie in allevamenti dove gli animali vivono ammassati uno sull’altro e quindi sono più propensi ad ammalarsi.

Durante il corso ho fatto vedere un Film, “A place at the table”, un film assolutamente da vedere per capire la situazione alimentare in molte zone degli Stati Uniti. Vi metto il link qui sotto perchè si può guardare su You Tube. Ne rimarrete scioccati.

  • Molte famiglie o non possiedono un’auto oppure ne hanno una per tutta la famiglia allargata. Ho avuto una studentessa qualche anno fa che lavorava di notte per pagarsi l’università, la prima ad andarci della famiglia, e che dormiva in auto al mattino per non dover tornare a casa dove le avrebbero chiesto di portare questo o quel familiare a fare commissioni, considerando il suo impegno scolastico la cosa meno importante ed impedendole in questo modo di frequentare le lezioni. Quante volte è arrivata da me piangente, a raccontarmi la fatica di cercare di uscire dalla povertà frequentando l’università, con la sua famiglia che era la prima a metterle il bastone tra le ruote.
  • Senza auto non si può andare a fare la spesa ad un vero supermercato.

Con i miei studenti, molti dei quali hanno ammesso di aver avuto fame durante la loro ancora breve vita, abbiamo cercato di andare alla radice del problema.

Ne sono uscite discussioni interessantissime che ci hanno portato a sviscerare il problema cibo ed educazione sotto molti aspetti grazie anche al materiale che abbiamo letto durante il semestre.

Credo che alla fine questa esperienza non abbia cambiato solo me, mettendomi di fronte ad un problema che, come bianca e privilegiata, non avevo “visto” prima, ma abbia cambiato anche loro educandoli a leggere le etichette (se un prodotto preconfezionato ha più di 5 ingredienti, meglio rimetterlo sullo scaffale) e a scegliere prodotti su cui non serve mettere l’etichetta pur cercando di limitare i costi. Alla fine il mercato si adatta alle richieste dei consumatori: sono loro che determinano il successo  o l’insuccesso di un prodotto commerciale.

Grazie a ragazzi come i miei studenti, le cose possono cambiare. Sarà un cambiamento lento, ma sta già succedendo.

Il supermercato su ruote che è stato lo spunto per questo post, i vari orti comunitari che stanno nascendo in varie zone della città dove gli abitanti possono coltivare ortaggi freschi, come ad esempio il Victory Garden e una maggiore attenzione anche alle offerte delle food bank ( luoghi come la Caritas Italiana) sono già un sintomo di questo cambiamento.

Spero si continui.

Se vi interessa l’argomento vi invito a leggere il libro “In defence of food” di Michael Pollan.

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5 commenti Aggiungi il tuo

  1. caterinabarcellona ha detto:

    Molto interessante! Grazie per questo articolo accurato.

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    1. Sono contenta che sia piaciuto: tengo molto al problema

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